Oggi ho cambiato il mondo

Gli cade dalla tasca un biglietto. Ho l’abitudine di scrutare con attenzione il più piccolo foglietto di carta o il rifiuto più ingombrante lasciato in strada. Può darsi si tratti di qualcosa di utile o, non si sa mai, soldi. Guardo sempre nei bancomat: come nei film, chissà che non riesca a racimolare i quarantamila euro che mi servono per studiare teatro così. Sono cinque euro il bigliettino caduto dalla tasca dell’uomo dal passo frettoloso e il giubbotto rosso. Vado al cinema stasera! O posso comprare due tavolette di cioccolato fondente con fave di cacao amaro. O posso cambiare il mondo. Ci vuole karma e sangue caldo. Il semaforo è rosso, è dalla mia parte. Ci fermiamo uno a fianco dell’altro. “DAVVERO?!?” La sua sorpresa e incredula reazione al mio porgergli quel fogliettino non era certo riguardo la dubitata gravitazione terrestre che ha attirato a sé quella banconota facendola scivolare dalle sue tasche. “Se vuole posso offrirle un caffè!”. Quell’uomo magari penserà che un mondo diverso forse esiste, e soprattutto lo penso io, lo faccio io. Ho un sacco pieno di libri che sto andando a vendere al negozio dell’usato. Ho bisogno di spazio e soldi. Cinque euro non mi avrebbero certo cambiato la vita. E il cioccolato non lo avrei mangiato perché ho mal di denti.  In piazza c’è un ragazzo che fa le bolle di sapone. Non posso dargli delle monete, ma gli lascio un libro. Quelli non sono semplice carta stampata, sono pezzi di memoria, le proteine che hanno costruito il mio cervello e la persona che sono adesso, mi hanno nutrito l’adolescenza. “Salvare il mondo senza essere Superman”. “Non sono libri di religione, dio o queste cose qua, no?” No, tranquillo, guarda, è una raccolta di gesti sull’ecologia quotidiana, come rispettare la natura. Ha gli occhi azzurri e i capelli chiari, della Repubblica Ceca, ma parla benissimo l’italiano- “è la mia seconda lingua ormai, ci sono da quattro anni qui! Grazie! E…buon Natale!”. È vero, me n’ero quasi dimenticata in che periodo fossimo, tanto mi sembra di vivere in un film. Forse sto solo raccogliendo la forza di andare a svendere i miei libri nel negozio delle occasioni. Il magazzino è enorme e disordinato come un negozio delle pulci può esserlo. Mentre tiro fuori uno ad uno le copertine colorate estraggo le parole, le riflessioni ingenue e pulite, complesse e arzigogolate, pessimiste e faziose che parteggiavo nell’adolescenza. 40 euro potrei ricavarne da tutte quelle pagine che mi hanno già dato moltissimo. Aspetta! “Avevo vent’anni” e “Rock bus” li salvo in extremis. Li ho lasciati lì sperando che nessuno li compri. In realtà vorrei solo guardare gli occhi e stringere le mani che abbracceranno quel libro. A me ha già dato, non serve a nulla che occupi peso nelle librerie di casa. Quando ero a Lisbona ho capito che non servono più. Anche se poco romantico e carnale, avrei voluto avere tutto in e-book. I libri di cui avevo bisogno erano a migliaia di chilometri. Ne ho spedito circa un quintale, e non è iperbolico. Arriva il momento di lasciare e di essere lasciati. Passato il peso del dolore, come direbbe Alessandro, lo zaino per continuare il cammino sarà più leggero  e pieno di spazio da riempire.

Le feste della mia città quest’anno hanno come tema l’infanzia. Torno a casa con un sacco vuoto, un bel pensiero, una bella foto e, addirittura, tre tavole di cartone linde e rigide per poter essere trasformate in un quadro, un pannello isolante o una finestra verso il mondo che oggi ho cambiato!

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